Non solo ospiti ma parte attiva
26 Maggio 2017
Si continua a parlare di richiedenti asilo, soprattutto in un momento in cui le strutture per l’accoglienza sono piene. Abbiamo incontrato Francesco Isoldi, responsabile del Nazareno, struttura gestita – insieme al San Giuseppe – dal Consorzio di Cooperative Sociali “Il Mosaico”. Ci siamo fatti raccontare da chi lavora quotidianamente con questi richiedenti asilo cosa effettivamente queste persone facciano nel corso delle loro giornate, anche per sfatare alcuni luoghi comuni. Sono emersi così alcuni punti di forza dell’accoglienza, ma anche alcune “falle” che andrebbero superate con un maggiore coinvolgimento di tutti.
Francesco, quante persone gestite nelle due strutture di vostra competenza e qual è la durata media della permanenza nelle stesse?
Gestiamo 165 persone al Nazareno e 96 al San Giuseppe. Quelle presenti in quest’ultima struttura hanno un tempo di rimanenza medio di 14 giorni, perché si caratterizza per essere un centro di smistamento, mentre per quelli presenti al Nazareno la permanenza media è di 8 – 10 mesi. Viste le tempistiche così diverse, anche le attività messe in atto sono completamente diverse.
Di che tipo di attività si tratta?
Come servizi alla persona forniamo vitto e alloggio, mediazione, informativa legale, supporto psicologico; abbiamo poi la presenza quotidiana di due infermieri, due insegnanti dipendenti più altri tre insegnanti volontari. Si svolgono corsi di Lingua italiana, su più livelli, e corsi di Educazione civica. Abbiamo al momento anche un gruppetto di ragazzi, una quindicina, che arrivano da una formazione più elevata e hanno molta facilità nell’apprendimento della lingua; è stata creata quindi una “scuola interna”, affiancata alle lezioni dei nostri docenti: quotidianamente c’è un’ora di lezione, tenuta da questi ragazzi più avanti con lo studio, per aiutare gli altri ospiti nell’apprendimento. Questo facilita sia noi che loro e fa anche da “traino” con gli ospiti, che sono spronati a partecipare alle varie proposte. Uno degli insegnanti porta anche alcuni degli “studenti” presso la sede della sua associazione, per prendere parte a corsi di Educazione civica, in interscambio con gli italiani.
Oltre allo studio della lingua e dell’educazione civica, sono coinvolti in attività manuali o professionalizzanti?
Per le attività extra, quello di cui sentiamo la mancanza è la partecipazione del Comune: più volte abbiamo chiesto di organizzare dei progetti di volontariato ad hoc ma ci è sempre stato detto di no. Cerchiamo quindi di organizzarci con la collaborazione delle associazioni private per progetti che possano comportare il coinvolgimento dei nostri ospiti: si effettua l’iscrizione a queste associazioni e vengono attivati corsi, laboratori… Al momento stiamo lavorando ad un laboratorio sulla cura degli orti, si fanno poi piccoli lavori di manutenzione come pitturazioni e ristrutturazioni.Abbiamo svolto anche un laboratorio artistico, al quale sono seguite due mostre, in Prefettura e presso la sede dell’Associazione Agoré, con l’esposizione delle opere dei ragazzi, l’esecuzione di alcune loro canzoni e la recita di alcune poesie. Ci sono inoltre molti incontri con le scuole, un modello che sta dando i suoi frutti, per conoscere e farsi conoscere; aiuta moltissimo le relazioni, in particolar modo in un momento in cui il fenomeno immigrazione è visto in un certo modo. Sono piccole cose che però fanno bene, anche all’immagine del fenomeno.
Il Nazareno ospita obiettivamente numeri importanti di persone. Com’è la partecipazione ai corsi? Si riesce a coinvolgere tutti?
Diciamo che i corsi possono aiutare a fare un po’ di “selezione” per capire chi ha effettivamente interesse a rimanere qui e a integrarsi e chi invece punta ad andare da qualche altra parte. Quando si aprono le iscrizioni ai corsi qui al Nazareno, o vengono proposti al Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, si iscrivono in molti, anche la metà dei presenti nella struttura, ma poi non tutti li completano. Chi decide di rimanere e impegnarsi nel completamento del programma – circa 1/3 degli iscritti iniziali – prende sul serio il suo impegno ed è molto seguito. Un esempio: in alcune classi più avanzate di Educazione Civica, ormai gli studenti riescono a tenere in piedi discorsi importanti, come se abitassero da anni qui in Italia.
In città si discute molto sul fatto che spesso li si vede “bighellonare” in giro… Cosa fanno effettivamente? Com’è una loro “giornata tipo”?
Tantissimi di loro vanno per uffici (Questura, Agenzia delle Entrate…) per sbrigare le varie pratiche, o hanno appuntamento con la Commissione Territoriale, o ancora escono per andare ai corsi o agli incontri con le scuole e le associazioni. Alcuni svolgono anche delle attività sportive presso il campo dell’oratorio di Straccis e questo è anche un modo per integrarsi con i ragazzi italiani che frequentano l’area sportiva.A volte alcuni degli ospiti sono coinvolti nella partecipazione ad alcuni eventi esterni, come l’Ethnic Festival di Gradisca d’Isonzo o organizzati da alcune parrocchie, dove prendono parte a incontri e conversazioni collaterali. Alcuni di loro hanno anche organizzato una “squadra” per pulire le sponde dell’Isonzo, si organizzano con i sacchi ed escono per andare a compiere il loro “lavoro”. Ovviamente non tutti i presenti al Nazareno riescono ad avere una giornata così piena, e va detto che quando ci si trova di fronte a numeri così consistenti di persone, le cose vanno così.
Una volta completato l’iter burocratico, questi richiedenti asilo si fermano sul territorio o vanno da un’altra parte, anche in altri Stati?
Fino a qualche mese fa chi arrivava seguiva tutto l’iter: presentava la domanda, attendeva l’approvazione dello status e quindi chiedeva l’inserimento nel progetto SPRAR. Ora la tendenza è un po’ cambiata: ci sono quelli che aspettano – a volte anche invano perché non è detto ci siano progetti disponibili – e se non arriva l’inserimento entro un mese dal ricevimento del permesso di soggiorno elettronico, ricevono un foglio di via. In questo caso abbiamo notato che comunque riescono a sistemarsi in autonomia, grazie ai contatti che riescono a stringere sul territorio nazionale. Altri poi scelgono di domiciliarsi a Gorizia, magari presso un legale, per mantenere la competenza della Commissione di Gorizia nell’eventualità in cui ci siano comunicazioni, ma si trasferiscono altrove. Ci sono poi i Casi di Dublino, tra l’80 e il 90% dei nuovi ingressi sono già stati segnalati in Europa: entrano in un “limbo” in cui bisogna appena capire di chi sia la competenza a livello statale.
Qual è o qual è stata la cosa più complicata da affrontare per loro, ma anche per voi operatori?
La cosa che gli ospiti fanno più difficoltà a capire sono i tempi della burocrazia italiana, i passaggi di tutto l’iter.Come operatori invece sentiamo la mancanza di non poterli impiegare in modo proficuo in città, sia per la collettività che per loro stessi. Abbiamo cercato di impostare il regolamento interno come una sorta di comunità: le camere, i loro letti… facciamo in modo che li autogestiscano, forniamo loro il materiale e loro puliscono i loro ambienti; capita che quando uno trascuri i suoi “compiti” siano gli stessi ragazzi a farcelo notare, perché hanno accettato le regole e queste aiutano a non farli sentire solo ospiti ma anche parte attiva di qualcosa. Si vede, soprattutto tra chi è qui da più tempo, che si vogliono integrare, sono i primi a capire che devono essere d’esempio per gli altri e a capire che le cose possono essere strumentalizzate e dare un’idea sbagliata di tutti. Manca però il poterli coinvolgere in attività che non siano private ma conosciute a livello comunale.
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