Don Michele Falabretti: l’arte di suscitare domande
15 Giugno 2017
Con tono pacato, allo stesso tempo sicuro e sfidante, don Michele Falabretti, sacerdote della diocesi di Bergamo e attualmente responsabile del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile, ha incantato l’assemblea diocesana riunita per la seconda sera. Non ha portato novità mai sentite prime, ha semplicemente riproposto ciò che molti dei presenti già conoscono, ma con una luce e una prospettiva che infonde speranza. Don Michele ha aiutato a leggere alcuni fenomeni nel mondo giovanile di oggi e ad indicare alcune piste di lavoro e di ricerca. L’incaricato nazionale è partito dalla constatazione che “Non ci sono più i giovani di una volta… chissà come andrà a finire il mondo, se le cose vanno avanti così…”. Ma subito don Michele ha aggiunto che ci sono delle tavolette babilonesi e papiri dell’antico Egitto che riportano espressioni del genere: da sempre i giovani sono stati visti come un problema, oltre che una risposta. In questo il nostro tempo non differisce molto dagli altri tempi, anche se ci sono delle caratteristiche peculiari della nostra epoca. I giovani oggi sembrano non protestare se qualcosa non è gradito, semplicemente se ne vanno e abbandonano l’ambiente che non corrisponde ai propri bisogni. Mentre in passato si accettava che ci fosse qualcuno che insegnava e che ci fossero delle regole bene chiare, oggi non viene più accolto un manuale di istruzioni che dica che cosa fare, ma come avviene con gli smartphone si impara provando e chiedendo a chi sta vicino. Mentre noi sogniamo di trovare dei modi per istruire i giovani sulla fede, loro sono accessibili solamente se c’è una domanda che li interpella personalmente. L’arte dell’educatore è quella di suscitare domande. L’educatore deve partire dal fatto che i giovani non sono non credenti, ma sono credenti in modo nuovo: per i giovani la fede non coincide con la frequenza domenicale, ma la fede interpella piuttosto la quotidianità; il prete non è visto come l’unico mediatore che fa incontrare Dio, anche se viene ricercato e apprezzato come accompagnatore; la vita è schiacciata molto sul presente, conta il qui e ora; la religione da esperienza etica diventa sempre più un’esperienza estetica (“la paura di essere brutti è più straziante che il rischio di essere malvagio”). I giovani hanno bisogno di relazioni autentiche, di coerenza e di ascolto. Proprio per questo come Chiesa dovremmo poter offrire delle comunità e delle esperienze di fraternità dove le relazioni sono veramente autentiche. Il miglior investimento per il futuro della fede e per l’annuncio della fede ai giovani è curare delle relazioni fraterne a cominciare da quelle all’interno del presbiterio. Le comunità sono chiamate a rileggersi per poter offrire delle esperienze significative come i pellegrinaggi, la vita fraterna, l’oratorio, le esperienze di carità/missione accompagnate da educatori formati e preparati, capaci di far rileggere il vissuto ai giovani. Abbiamo bisogno di educatori che sappiano far emergere la dimensione spirituale della vita. L’intervento di don Michele è stato seguito con grande attenzione dai presenti nella sala di S. Nicolò, ed è stato accompagnato da molte persone che prendevano appunti e annuivano ascoltando. Il sinodo dei vescovi su “Giovani, fede, discernimento vocazionale” sarà l’occasione per ascoltare i giovani e specchiarsi in loro per comprendere a quale conversione la nostra Chiesa per essere sempre più generativa nella fede.
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