A 50 anni dalla nomina di monsignor Pietro Cocolin
15 Giugno 2017
La storia dell’arcidiocesi di Gorizia è ricca di figure illustri. Anche tra gli arcivescovi e vescovi locali, oltre che per il mandato in altre diocesi, non mancano personaggi di prestigio nel clero e nel laicato. L’ultima nomina arcivescovile risale al 26 giugno 1967, quando venne comunicata la elevazione ad arcivescovo del parroco decano di S.Ambrogio a Monfalcone, monsignor Pietro Cocolin, sacerdote diocesano. Cinquanta anni fa.Le vacanze erano appena incominciate, dopo la vittoria del campionato da parte della Juve. Nelle scuole si chiudevano i registri; unici , pensierosi erano i maturandi che iniziavano le prove con il primo luglio. Giugno era stato comunque un mese intenso e denso di novità. Si era appena spenta l’eco della guerra dei sei giorni (6-12 giugno): il governo di Israele aveva eliminato in poche ore l’aeronautica egiziana e quella giordana; solo pochi giorni di resistenza poi la resa delle armi e l’ingresso delle truppe di Mosè Dayan a Gerusalemme. Il mondo intero ha tremato.La vita del seminario maggiore e minore goriziano si chiuse come il solito con gli esami di fine anno, i saluti e la partenza per le vacanze in attesa della nomina del nuovo vescovo. La diocesi era guidata dalla sapienza semplice del vicario capitolare mons., Giovanni Diodato , padre spirituale del seminario e confidente del clero. Nessuna notizia era trapelata nemmeno dopo la partenza da Gorizia dell’arcivescovo mons. Andrea Pangrazio per la nuova sede di Porto e S.Rufina e con l’impegnativo compito di segretario generale della conferenza episcopale italiana. Sono stati cinque anni (1962-67) di intenso ministero conclusi -come si usava nel passato- con una serie di incontri del vescovo sul territorio: politici ed amministratori, uomini e donne della cultura, i l clero diocesano, il seminario, l’Aci e le altre associazioni, la comunità slovena. Un saluto impegnativo e puntuale quello di mons. Pangrazio che ha segnato gli appuntamenti con una serie di discorsi che avevano l’aria di essere anche programmatici e non solo un bilancio del suo servizio a Gorizia. Niente fu lasciato al caso ed alle formalità; l’arcivescovo ebbe modo di individuare e descrivere progetti e prospettive per la chiesa diocesana e per la comunità isontina, sapendo trarre dalla esperienza quinquennale motivi validi di speranza e di futuro. Il pastore, venuto da Padova e con due esperienze episcopali a Verona e Livorno, aveva saputo percepire l’odore del gregge, immerso come era nella vita diocesana e della terra isontina; ne aveva colto le contraddizioni, i segni e le urgenze in termini di rilancio dell’evangelizzazione, di sostegno alla cultura ed all’associazionismo, di impegno laicale in ogni ambito della vita; senza dimenticare la convivenza civile, il lavoro e del rinnovamento delle istituzioni, dopo la recentissima costituzione della Regione autonoma. Gorizia, come ebbe a dire inseguito, lo aveva segnato e profondamente, al punto da cogliere insieme due esigenze urgenti: quella che la Chiesa diocesana avesse le potenzialità per esprimere non solo un vescovo ma anche la necessità di segnare la storia con le proprie forze ed energie. In secondo luogo, alla luce anche delle sue iniziative più stringenti – costituzione di nuove parrocchie per rispondere alle prospettive proposte dalla ricerca sociologica e presenza nel mondo del lavoro che egli aveva visitato con puntualità e determinazione- Pangrazio sentiva e si dette da fare con sollecitudine e fiducia perché alla diocesi fosse assicurata una guida in grado di conoscere gli ambienti di vita, di percepire le sensibilità giovanili di impegno nel terzo mondo, di cogliere le contraddizioni e le esigenze della comunità slovena. Nell’incontro a S.Ignazio, proprio alla comunità slovena, nel saluto, aveva detto che al di là di tutto, la nuova nomina del vescovo che doveva succedergli dimostrerà quanto era stato grande il suo amore e la sua attenzione verso di essa e verso la diocesi. La fine del mese di giugno -tempo dedicato nelle diverse chiese locali , nel passato, alla celebrazione del rito annuale delle ordinazioni sacerdotali- diventava anche il tempo utile per la promozione di altre iniziative: prima fra tutte appunto la organizzazione di attività di formazione che impegnavano i piccoli, i ragazzi, la gioventù e anche il laicato diocesano. Un tempo di fervore che certamente non ha fatto mancare la promozione di nuove attività e servizi all’Azione cattolica diocesana che da alcuni anni -unitamente al altri gruppi, come ad esempio GS (gioventù studentesca), senza dimenticare i campi dell’Agesci distribuiti in tante località della Carnia e dell’Opera diocesana assistenza a Forni di Sopra- aveva ridato vita e presenza per quasi tre mesi ai campi scuola in località dove esistevano gli ambienti (riadattati dall’opera generosa di genitori e parenti) della polveriera di Valsaisera. Un fervore di iniziative che vede al lavoro numerosi giovani sacerdoti delle generazioni a cavalo della anni sessanta.La comunicazione della notizia della nomina del nuovo arcivescovo ebbe l’effetto di far diventare la casa canonica di S.Ambrogio a Monfalcone come il centro della diocesi dove tutti si recavano per felicitarsi con l’eletto e per scambiare abbracci e saluti. Monsignor Cocolin -da un anno scarso -parroco decano di Monfalcone e ancora turbato dall’allontanamento da Aquileia, che era radicata nel cuore- aiutò subito tutti a sentirsi a proprio agio. “Se hanno fatto vescovo il sottoscritto, allora è proprio finito il tempo dei principi arcivescovi”, il suo commento; la sua condizione di figlio di povera gente non lo lasciò mai e, tanto più, in quella circostanza; manifestò subito il desiderio e l’auspicio di non “lasciarlo solo” e di sentirsi parte dell’unica vicenda ecclesiale, di quella Chiesa del Concilio che diventerà oggetto della sua predicazione e testimonianza. Un modo per chiedere la collaborazione di tutti.L’elezione – come si diceva un tempo- rappresentò una novità ed una bella novità; il riconoscimento delle capacità e della personalità del sacerdote diocesano chiamato ad essere vescovo, benevolo ed entusiasta, la corrispondenza di pensieri e di sentimenti fra pastore e diocesi intensa. Non mancarono le prese di distanza che diventeranno forme pesanti di gelosia. Gli amici e la famiglia, composita e legata da vincoli profondi, la cognata in particolare, gli furono vicini in un frangente così delicato. Cominciava così un nuovo importante capitolo della storia diocesana. Al momenti della comunicazione, Gorizia poteva contare su due diocesani diventati arcivescovi. Appunto, mons. Cocolin e mons. Luigi Fogar, goriziano e vescovo dimissionato della Chiesa di Trieste (1924-1938), sconosciuto ai più e mai riabilitato. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
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