Sacerdoti centrati sulla figura del Buon Pastore
3 Novembre 2017
C’è bisogno di formare e preparare un “prete sobrio, libero, sereno e centrato sulla figura di Gesù Buon Pastore”: lo dice subito l’arcivescovo messicano Jorge Carlos Patrón Wong, Segretario per i Seminari della Congregazione vaticana per il Clero, intervenuto nei giorni scorsi a Zelarino (Venezia) all’incontro organizzato dalla Conferenza Episcopale Triveneto e partecipato da parecchi vescovi e molti rettori, padri spirituali ed educatori impegnati nei seminari delle Chiese del Nordest. L’intento era quello di presentare linee fondamentali, contenuti e attenzioni presenti nella “Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis”, il documento-base per la formazione sacerdotale rinnovato con l’edizione datata 8 dicembre 2016 (la precedente risaliva al 1970, mentre nel 1985 erano stati aggiornati solo alcuni aspetti “canonici”) e fortemente ispirata agli insegnamenti e alle sollecitazioni di Papa Francesco al riguardo. Un documento, assicura il Segretario, “pensato e scritto per la vita reale dei sacerdoti”.”Se è vero – sostiene mons. Patrón Wong – che l’identità del presbitero non cambia, è altrettanto vero che le modalità dell’essere prete e il ministero pastorale cambiano e si rinnovano continuamente”. Sono sempre chiamati a “ridefinirsi, trasformarsi e in qualche modo convertirsi” sostenuti da “un’opera di formazione unica, integrale, comunitaria e missionaria”, una sorta di cammino graduale – fornito di accompagnamento spirituale personale – che dura tutta la vita. Come ricorda spesso il Papa, “i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù”. Molto accentuato è il rilievo alla formazione umana perché – afferma mons. Patrón Wong – in questo campo non si può “assolutamente essere superficiali: non si può essere preti se non si è prima di tutto uomini maturi e strutturalmente equilibrati, discepoli chiamati ad assumere i tratti dell’umanità di Cristo. Abbiamo bisogno di pastori “umani”, cioè persone affettivamente stabili, interiormente autentiche e libere, serene, capaci di vivere relazioni pacifiche ed equilibrate”. Per i seminari la sfida è “formare non “il prete da laboratorio” o “il ragioniere dello spirito” ma il Buon Pastore, attento alla vita dei fratelli, capace di amore senza confini e di donazione gratuita, appassionato nell’annuncio del Vangelo e compassionevole verso le persone ferite che cercano in Dio la speranza”.Accompagnamento e discernimento sono due parole-chiave molto presenti nella “Ratio” perché si tratta di “aiutare il seminarista a conoscere se stesso, nei suoi doni e nelle sue fragilità, superando il rischio dell’autoreferenzialità e del narcisismo, rendendolo capace di esercitare il discernimento spirituale su se stesso e, successivamente, il discernimento pastorale nel popolo di Dio”. Importante è, in tal senso, il servizio dei formatori, chiamati a “mettersi in gioco”, a “vivere per primi rapporti sani e maturi con gli altri” e a creare un contesto di “fraternità (con i membri dell’équipe) e paternità presbiterale (con i seminaristi). Non è un compito facile, perché né la fraternità né la paternità si imparano automaticamente ma richiedono un processo costante, un saper uscire da se stessi per andare incontro agli altri ed offrire la propria vita. Impossibile accettare di essere formatore senza compromettere tutta la vita”.Nell’intervento introduttivo l’arcivescovo di Udine Andrea Bruno Mazzocato – vescovo delegato del settore – ha richiamato alcuni dati (in progressiva flessione) sulla realtà triveneta fondata tradizionalmente sui seminari diocesani o interdiocesani. Attualmente sono 11 i seminari maggiori esistenti e 7 i “minori”: nel 2017/18, nei sei anni dell’iter teologico, raccolgono 198 seminaristi (e poi ce ne sono altri 41 nell’anno propedeutico/preteologico) mentre i seminari minori hanno 184 ragazzi. L’incontro è stato aperto dal saluto del Patriarca di Venezia e Presidente della Cet Francesco Moraglia: “La vocazione al sacerdozio è dono fatto al singolo ma per la Chiesa non basta il desiderio di diventare preti; ci vuole un giudizio della Chiesa che verifichi la reale sussistenza delle qualità e condizioni personali del candidato. Tutti gli agenti della formazione sono chiamati a concorrere ad operare un discernimento attento e cordiale ma veritiero”.
Il seminario non deve essere un piccolo ghetto
Il seminario? Non può mai essere “quattro amici al bar o un piccolo ghetto” ma piuttosto un ambiente dove si fa “comunione” e “si mette a disposizione dei candidati, numericamente pochi rispetto al passato, una comunità formativa reale. Le migliori risorse vanno, perciò, messe insieme”, anche tra più diocesi se necessario: “Tutte le diocesi devono avere seminaristi, ma non tutte le diocesi devono avere per forza un seminario”.Nel corso del dibattito con vescovi, rettori, padri spirituali e formatori triveneti mons. Jorge Carlos Patrón Wong sottolinea la necessità di riscoprire la comune dignità della vocazione battesimale (che appartiene a tutti e richiede anche una formazione sostanzialmente “unica”), mette in guardia dal giovane o dall’adulto che avesse l’ossessione di diventare prete e invita a verificare bene – nel rispetto dei compiti di ciascuno (anche qui… sussidiarietà) – e a “far uscire” le autentiche motivazioni vocazionali di chi entra in seminario: “Non cerchiamo di “riempire i buchi” e non cerchiamo la perfezione, ma la sanità umana e il cammino cristiano. Così possiamo andare avanti”. Un sorriso simpatico e contagioso accompagna le parole dell’arcivescovo Patrón Wong che ama moltissimo farsi ritrarre con i gruppi e le realtà ecclesiali che, per il suo servizio, incontra periodicamente a Roma o in giro per il mondo per poi postare immediatamente le foto sul suo profilo in Facebook: ogni mese (e anche alla fine di ogni anno) si impegna a riguardarle tutte per “portare” nella preghiera le persone e le comunità di volta in volta avvicinate e… immortalate.
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