Partecipazione e impegno per il bene comune
10 Novembre 2017
Oltre un centinaio di persone provenienti dalle diocesi di Concordia-Pordenone, Gorizia, Trieste e Udine hanno partecipato al Convegno regionale Adulti di AC a Gorizia riflettendo sul tema Attraverso il territorio. Partecipazione e impegno per il bene comune.E’ stata un’occasione di approfondimento e confronto davvero arricchente: Luca Grion, direttore della SPES di Udine e presidente dell’Istituto J. Maritain ci ha invitati a riflettere sulla nozione di bene comune, un concetto che generalmente diamo per scontato ma che è necessario comprendere nel suo pieno significato per non rischiare di escludere le persone più fragili dal godimento di un bene che se è comune dev’essere di ciascuno, nemmeno uno escluso.Il bene comune non è, ad esempio, la somma dei beni individuali, anzi, se c’è solo una persona che porta un contributo uguale a zero, il bene non è più di tutti e il totale del bene comune è zero; l’onere è dunque quello di non lasciare indietro nessuno.A questo proposito, nella sua veste di docente di filosofia morale, Luca Grion ha sottolineato il pensiero di J. Maritain, di cui tra l’altro è impregnata la Gaudium et Spes: l’uomo ha due polarità, l’io odioso, la cui legge è il prendere, l’impossessarsi e godere per sé, e l’io generoso, proprio di santi ed eroi, dove prevale la logica del noi, dove c’è uno strabordare di generosità che è il pilastro del bene comune. Bene comune che non è la semplice collezione di beni privati ma la comunione delle persone capaci di vivere bene, dove la felicità è data dalla qualità dei legami, infatti stiamo bene quando i rapporti interpersonali sono forti, non quando accumuliamo beni. Oggi più che mai, come credenti e appartenenti all’A C dobbiamo essere capaci di superare la logica del pensiero debole, dell’emotivismo, secondo cui è legittimo che ciascuno abbia la sua verità; la verità umana messa ai voti rischia di perdere, anche fosse la verità dei più: alla richiesta di Pilato la maggioranza non ha scelto Gesù.Ma allora qual è la chiave per ripartire? E’ necessario mettere gli occhi sulle fragilità, capire quali sono i problemi dai quali vorremmo sollevarci: l’ascolto di ciò che ammala le nostre relazioni può aiutarci a trovare le soluzioni per uscirne; dobbiamo fare la fatica di alimentare la speranza perché ciascuno di noi sta bene quando vive buone relazioni con gli altri.Grion infine ha suggerito tre azioni per coloro che si impegnano in politica: ricucire, cioè apprendere l’arte di comporre le distanze. C’è un autentico bisogno di additare esempi credibili e di mostrarli: se non li portiamo nelle nostre realtà parrocchiali, se non proponiamo testimoni che lavorano concretamente per il bene comune, soprattutto tra i più giovani veicoliamo l’idea che la politica è una cosa da cui prendere le distanze, che non è una cosa buona. Ascoltare: è necessario superare la difficoltà di stare insieme valorizzando le differenze, come nella pratica sportiva di squadra, ognuno deve avere i propri spazi e concorrere al comune obiettivo. Riunire: coloro che si impegnano in politica devono avere la capacità di tenere le persone attorno a un tavolo affinché ciascuno prometta di procedere in un’ottica di squadra, saper trovare il compromesso, far avanzare insieme.Il dibattito finale è stato poi sollecitato anche dagli interventi di Gianni Ghiani, consigliere del comune di Cordenons e di Marco Vittori, sindaco del comune di Sagrado ,invitati a fare alcune riflessioni sul rischio della solitudine, sull’ingratitudine e sulla gestione dei conflitti da parte di chi, come loro, è impegnato direttamente nei governi locali. Dopo la Messa presieduta dall’Arcivescovo di Gorizia, Mons. Carlo Maria Redaelli e il pranzo comunitario, la giornata si è conclusa con la visita guidata al Museo della Grande Guerra presso il Castello della città.Desideriamo ringraziare la Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia per averci concesso l’utilizzo della sala e per la disponibilità che sempre dimostra per le iniziative diocesane.
LA buona politica
Per proseguire il dibattito sulla “buona politica” quella con la “P” maiuscola richiamata da Papa Francesco all’incontro con l’Azione Cattolica del 30 aprile scorso, oltre al racconto della giornata, di seguito ci sono anche 2 riflessioni, da parte di un adulto e le risonanze che hanno riportato i giovani presenti.Permettetemi una riflessione personale: sul tavolo sono state messe alcuni elementi che, forse, nel linguaggio comune sono passati in secondo piano. Questi sono: essere solidali, ascoltare le fragilità, gestire i conflitti, formare la propria interiorità, il bisogno di competenza tecnica.Non sono scontati, ne tantomeno ovvi: nell’Evangelii gaudium “la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita” (n. 228). Da adulto mi chiedo se lo sforzo educativo e formativo, che sia rivolto a me stessa o quale servizio agli altri, ha generato attenzione verso questi temi? L’esercizio della politica, sia esso legato alla partecipazione o all’impegno, non può slegarsi da questioni reali: “la realtà semplicemente è, l’idea si elabora” (n. 231).Per concludere riporto alcune considerazioni formulate da Vittorio Bachelet in occasione della Settimana sociale dei Cattolici italiani di Pescara nel 1964: “educare al senso del bene comune vuol dire formare a un retto e vigoroso ideale, aiutando l’uomo a impadronirsene con intelligenza e ad adeguarvi la sua formazione spirituale, morale e tecnica. Vuol dire formare l’uomo a una lineare aderenza agli essenziali immutabili principi della convivenza umana e in pari tempo al senso storico, alla capacità cioè di cogliere il modo nel quale quei principi possono e debbono trovare applicazione fra gli uomini del suo tempo […]” (L’educazione al bene comune). semplicemente è, l’idea si elabora” (n. 231).
Maria Luisa Giusti – Presid. dioc. Aci
Da cristiani non possiamo non pensare politicamente
Riscoprire la politica come vocazione per un cristiano potrebbe sembrare oggi una missione impossibile. Eventi e situazioni ricorrenti in merito alla politica ci fanno pensare che la cosa pubblica oggi sia solo dei corrotti e degli incompetenti. Come cristiani però dobbiamo essere persone, uomini e donne di speranza capaci di cogliere il bene,il lievito della parola, profeti capaci di andare oltre l’immediato o il contingente. A dircelo sono ci sono figure grandi ed illuminate che da credenti sono stati capaci di lasciare un segno nella società italiana, tra queste La Pira e Lazzati, che ci hanno dato testimonianza di cosa significa fare una politica coerente con il Vangelo, in una dimensione di Laicità. In un suo stupendo scritto, “Costruire la città dell’uomo a misura d’uomo”, Lazzati ci invita a cogliere il significato e valore di un impegno cui ognuno, in una misura o in un’altra, in un modo o in un altro, in quanto essere umano, non può sottrarsi senza diminuire o perdere il senso del proprio essere uomo. Fare Politica in termini ampi, non sempre o necessariamente nelle Istituzioni, questo è l’aspetto più “pratico” e visibile. Soprattutto Lazzati ci insegna ad essere laici cristiani in “maturità”, cioè in consapevolezza della propria vocazione: cioè da interpretare innanzitutto come dedizione responsabile e competente alle “realtà temporali” (famiglia, lavoro, cultura, politica, …), per “ordinarle secondo Dio”, così come indicato al n.31 della Lumen Gentium . Lazzati reputava indispensabile il ruolo dei laici cristiani, ruolo da assolvere, fra l’altro, in ossequio ai criteri di laicità e di dialogo nel pluralismo, non lontano da quello che anche don Milani ci voleva dire attraverso il suo ” I care”, mi sta a cuore, in antitesi al me ne frego, che oggi potrebbe essere tradotto nella migliore delle ipotesi con l’espressione “non è di mia competenza”, guardo solo al mio interesse. Questi uomini ci dicono oggi una cosa importante: che è fondamentale riscoprire la dimensione di comunità. Fondamentale per chi voglia pensare politicamente e poter riscoprire la politica, cosi come ci invitava a farlo il Beato Paolo IV come “la più’alta forma di carità”
Paolo Cappelli
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