Giovani e lavoro: un binomio possibile
7 Febbraio 2018
Quella del lavoro è oggi già di per sé una tematica “spinosa” da affrontare, quando poi si accosta a quest’argomento quello legato ai giovani, il tutto si complica ancora di più, visti i tempi per nulla semplici che le nuove generazioni stanno affrontando.Abbiamo incontrato don Massimiliano Sabbadini, ospite negli scorsi giorni a Monfalcone dell’incontro “Giovani, scuola e lavoro”. Con don Sabbadini, presidente nazionale della Confap – Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale – abbiamo parlato appunto di formazione, di quanto essa sia fondamentale per “vendersi” bene nel mondo del lavoro e di come il mondo degli adulti debba in qualche modo “fidarsi” di questi giovani, spesso fucine di nuove idee e nuove occupazioni.
Don Sabbadini, al giorno d’oggi il binomio “giovani – lavoro” è forse visto come un controsenso? Qual è la situazione sul nostro Paese?Innanzitutto, a mio avviso, dobbiamo proprio recuperare il senso che sta dietro alla parola lavoro, mettendosi con la testa bene all’interno delle problematiche che riguardano questo campo l’inserimento dei giovani. Da “buoni cristiani” dovremmo avere una grandissima percezione di dignità, estesa alla persona stessa: lavorare non è solo “fare qualcosa” ma è la condizione nella quale l’uomo si esprime, entra in relazione con la società, il mondo, la realtà, con gli altri e con sé stesso. C’è molto da recuperare su questo dalla Dottrina Sociale della Chiesa.Soffermandoci sulle problematiche del binomio “giovani – lavoro”, proprio recentemente il sito tuttoscuola.it ha pubblicato una ricerca che evidenzia come, negli ultimi 10 anni, lo Stato ha avuto una perdita di 27,5 miliardi di euro per abbandono formativo; si avvicinano ai 3 milioni gli adolescenti che hanno interrotto il loro percorso, tanto scolastico, quanto formativo. Accanto a questo fenomeno, anche la disoccupazione giovanile, che vede l’Italia con il suo 36% ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei, dove la media si attesta a meno della metà. Il tasso di laureati in Italia è del 25%, la media europea tocca il 40%.Questi elementi danno spesso vita a due fenomeni: l’overeducation e il mismatch. Il primo significa che, talvolta, il candidato presenta competenze eccessive per lavori che ne richiedono di meno; il secondo si ha quando, all’offerta di determinati posti di lavoro, non corrisponde la formazione adatta dei candidati. Su quest’ultimo punto da qualche tempo la scuola ha lanciato i percorsi di Alternanza Scuola – Lavoro, concetto formidabile ma ancora al di là da essere nelle condizioni di poter essere realizzato efficacemente.
Invece la Formazione Professionale ha una “storia” più lunga…La Formazione Professionale può essere uno degli esempi positivi: nello scorso anno formativo abbiamo condotto, su 150 Centri di Formazione Professionale in 14 Regioni, un monitoraggio per dettare le linee guida per gli altri 200 centri del Paese.La Formazione Professionale in Italia è disomogenea: lavora su base regionale, c’è solo in 14 Regioni ed è finanziata in maniera disuguale. Dalla sperimentazione è emerso che è possibile un sistema duale, che vede le aziende coinvolte già nella progettazione dell’inserimento di un giovane, fino al conseguimento dei titoli professionalizzanti, nell’accompagnamento, nel tirocinio e nella verifica; spesso poi ne consegue l’assunzione. C’è una strettissima alleanza tra il territorio e la “regia” dei Centri di Formazione Professionale, in particolar modo con l’impiego di tutor altamente specializzati nell’orientamento, che sarebbe opportuno iniziare sin dalla più tenera età.I ragazzi vedono molti benefici da un simile percorso: sono più sereni e soddisfatti, vedono il loro carattere migliorare, si sentono più “adulti” nell’esperienza lavorativa; ecco che ritorna il discorso legato alla dignità lavorativa.
Mondo dell’imprenditoria, aziendale e artigiano come vedono la collaborazione con i CFP? A volte sembra che i giovani provenienti da questi percorsi siano visti più come “manodopera gratis” che come “investimento formativo”…Dalla sperimentazione fatta il 50% delle aziende che hanno visto un legame con i CFP per i tirocini formativi, confermano di averlo fatto non per conseguire dei benefici fiscali ma perché sentono importante crescere delle risorse umane, nella misura che serve all’azienda ma anche con l’attenzione alla persona. Pertanto possiamo affermare che la piccola e media impresa (il 90% di quelle che offrono tirocini formativi) sono molto interessate a questo ma ciò che le mette in difficoltà è l’indisponibilità di risorse, soprattutto umane, per accompagnare un giovane che cresce.Su questo la novità della sperimentazione è che questa risorsa possa essere messa a disposizione direttamente dai CFP, in particolar modo per gli aspetti giuslavoristici, che sono tanti e spesso scoraggiano un’azienda.
Quanto è quindi oggi fondamentale la Formazione Professionale? È ancora vista come una “scuola di Serie B” rispetto ai tradizionali percorsi scolastici?Questa sensazione sta cambiando, ma c’è ancora tanto da fare affinché venga riconosciuta nella sua qualifica propria, tant’è vero che anche la didattica all’interno dei CFP sta cambiando, per essere il più completa possibile.La Formazione Professionale quindi va non solo riconosciuta meglio, ma ha qualcosa da dire ed è da esempio anche per tutto il resto del mondo scolastico.Per passare da “Serie B” a nessuna serie, c’è molto da fare in termini culturali, di mentalità: qui rientrano i mezzi di comunicazione, gli incontri con le famiglie, la presentazione, l’orientamento e il racconto di buone prassi.
Sta aumentando sul nostro territorio il fenomeno dei cosiddetti NEET, ossia ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono in cerca di occupazione; un po’ un fallimento per tutta la società, segno di qualcosa che non ha funzionato, soprattutto per quanto riguarda il ricambio generazionale. Come si può ripartire da questo “fallimento”?Son 3 milioni in questo momento i NEET in Italia. Giustamente è un fallimento per tutti, ma non dobbiamo vederlo come una condizione in termini assoluti, solo temporanea. Ci può essere una ripresa, ci deve essere. Sta in tutti noi “spendersi” per ridestare questi ragazzi e qui è fondamentale, come dicevo prima, anche un aspetto attrattivo del lavoro. Normalmente oggi questo è visto come il “male necessario” per avere un po’ di soldi da spendere nel fine settimana, o la fonte di infiniti problemi. Si dovrebbe quindi far passare il messaggio per cui il lavoro – con tutta la fatica e la pazienza del caso – è esteso all’essere della persona umana.Un uso corretto anche dei Social è importante in questo, dal momento che condizionano fortemente soprattutto la fascia giovanile.Altro messaggio da far passare è che c’è un lavoro… che non c’è. Spesso i giovani hanno idee, prospettive e inventiva per lavori che non esistono ancora, ma possiamo aiutarli a farli nascere, non tarpandogli le ali. Il lavoro cambia, si evolve, bisogna aver coraggio, come mondo degli adulti, di mettere a disposizione qualche risorsa finanziaria a servizio dei giovani. Ci vuole un dialogo intenso, ascolto, accompagnamento; non fidiamoci della “categorizzazione” ma incontriamoci ed entriamo in relazione.
Guardando alla dimensione locale, che ruolo possono avere i centri di aggregazione cattolici – le parrocchie e gli oratori – nella formazione anche professionale di un giovane?Le parrocchie possono certamente accompagnare nell’orientamento, entrando appunto in relazione con i ragazzi; senz’altro poi possono “fare rete” con i soggetti del territorio, proponendosi magari come “regia” entrando in contatto con le realtà educative (scuole, CFP, università…) e facendo interagire coloro che già lavorano con quelli che ancora studiano, per uno scambio di esperienze.Gli oratori poi sono l’espressione più sincera della comunità cristiana che cammina insieme, raggruppando soprattutto bambini, preadolescenti e adolescenti e per questa fascia d’età è un luogo che ha ancora molto da dire, con una proposta integrata. Importante è che queste realtà evolvano in direzione della creazione di un’équipe educativa, che accompagna insieme le vite che le sono affidate. Questo crea anche un fortissimo senso di appartenenza.
Oggi giorno, quali sono gli elementi che un giovane alla ricerca di occupazione – magari proprio il suo primo lavoro – deve prendere in considerazione per presentarsi bene?Sicuramente non precludersi a nessuna esperienza, non essere selettivi in partenza; nel curriculum le esperienze fatte valgono più di nessuna esperienza, anche la più parziale!In secondo luogo si tratta di crescere con serietà in percorsi, siano essi scolastici o formativi, assumendo competenze e tirando fuori le proprie qualità.È importante poi accettare di farsi accompagnare ed essere curiosi, interessandosi al mondo “adulto” del lavoro, confrontandosi con i colleghi più esperti e maturi. Questo inoltre fa sì che anche il lavoratore “maturo” ridesti le proprie capacità di trasmissione della propria professione, sentendosi valorizzato per ciò che fa.
Don Massimiliano, noi sappiamo che lei è molto amico di un noto personaggio della musica italiana…può raccontare ai nostri lettori di chi si tratta?Si tratta di Stefano Belisari, che tutti conoscono come Elio del gruppo “Elio e le Storie Tese”. Qualche anno fa, organizzando un grande incontro tra il vescovo e tutti i cresimandi di Milano che si sarebbe tenuto allo stadio di San Siro, fui invitato dalle due società calcistiche – gestori dell’edificio, con le quali avevo preso contatti per organizzare l’evento – ad andare a vedere qualche partita. Si sa, lavoro da fare ce n’è tanto, alla fine riuscii ad andare a vedere solo una partita, un derby Milan – Inter. Lì, in tribuna, notai Elio, che mi guardava; ad un certo punto si avvicinò e mi chiese se fossi Massimiliano. Risposi di sì e lui allora mi ricordò come, in realtà, ci conoscessimo dall’infanzia – lui era compagno di classe di mio fratello e io del suo -.Stefano è veramente una persona di una serietà e un’attenzione umana finissima; riprendemmo così i contatti e nacque una bella amicizia, frutto della quale è la canzone “Oratorium”. Un giorno, quasi per scherzo, quando diventai presidente del Forum Oratori Italiani, gli chiesi di comporre un “inno” per i centri parrocchiali; la prese seriamente e compose con il suo gruppo la canzone, che volle realizzare con il tipico stile “graffiante” di “Elio e le Storie Tese”.
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