In un contesto di globalizzazione, non è sempre facile sapere chi arriva e chi va via
3 Novembre 2014
La ricchezza che la Scrittura ci consegna riguardo all’accoglienza è davvero grande. San Paolo, nella lettera ai Romani 16,16 ci esorta: “Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo”. Nell’assemblea ebraica il bacio era segno dell’amore di Dio, del Suo perdono e del perdono offerto ai fratelli attraverso di noi. Dire ai fratelli ti amo e baciarli significava dire loro “Dio ti ama”. Ecco dunque che questa realtà visibile del bacio santo rivela una realtà invisibile e dunque assume una valenza sacramentale. II nostro bacio, espressione umana che dice gioia, affetto, fraternità, assume un calore divino nella luce dello Spirito, nella santità dell’abbraccio paterne.Ancora: Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi (Rm 15,7). E’ questo, dunque, il principio fondamentale dell’accoglienza tra gli uomini che sta alla base della vita di ogni gruppo o comunità.E’ stimolante la lettura della lettera ai Romani su questo tema, non nuovo. Infatti il Concilio Vaticano II lo ha sviscerato in tutte le sue sfaccettature. Forse l’applicazione ha difficoltà di diventare concretezza. Non è semplice farla comprendere all’interno della parrocchia per svariati motivi. Oggi si vive più la dimensione del “personale”, meno l’ottica della comunità. Si tende più al proprio orticello e si è un po’ “ciechi” con chi ci sta accanto, anche in famiglia stessa; non solo anche tra parrocchie. Come porsi nei confronti delle nuove famiglie, persone? Nessuno ha delle ricette precostituite o dei modelli da esportare, sempre e comunque validi. E poi giova ricordare che se noi pretendessimo di avere sempre la soluzione giusta a portata di mano, non lasceremmo alcuna possibilità di intervento allo Spirito Santo. Penso sia importante in primo luogo, che il Pastore della Diocesi incontri i propri confratelli sul loro posto “di lavoro pastorale”, ascolti le loro difficoltà, abbia attenzione alla loro persona ed insieme agli altri confratelli comprenda il tessuto socio-culturale-religioso nel concordare insieme una pastorale dell’accoglienza che non sia teoria, ma concretezza. In un contesto di globalizzazione dove tutto è vortice, non è sempre facile sapere chi arriva e chi va via, se non sono lo “zoccolo” conosciuto del paese. Personalmente ho incontrato nuove persone, nuove famiglie per la catechesi dei figli, per i lutti, per un loro desiderio di farsi conoscere. Poi sono andato a trovarli a casa, invitandoli a partecipare, pur tenendo conto dei loro tempi, alla vita della comunità Già qualcuno si è messo a “servizio” come catechista. Piccoli significativi gesti. Credo poi, che non ci sia un manuale della pastorale dell’accoglienza. Credo significativo che ogni momento può essere buono per incontrare. Copiare tendativi di “forme” di accoglienza, quali mettersi alla porta della chiesa, devono prima essere ontologiche ad ogni membro della comunità cristiana, in primis ai pastori. L’accoglienza semplice, spontanea quella di ogni giorno, di ogni domenica, quando conclusa la celebrazione liturgica il pastore è in mezzo al suo gregge è inizio e continuità. I passi poi nasceranno dalla spontaneità. E’ quanto si cerca, pur con tanti limiti, di vivere. Non solo: è fondamentale anche la visita mensile agli ammalati per la s. comunione, anche per quelli che non la fanno, ma la visita del pastore è gradita ed attesa. In Parrocchia non ci sono grandi movimenti, nuovi arrivi. Se vengo a conoscenza mi informo con i miei collaboratori e tramite loro inizia un primo approccio. Nulla di eclatante. Solo l’umanità di incontrare e non avere mai fretta di concludere. Forse il miglior esempio ce lo fornisce il Vangelo con la “V” maiuscola: Cristo. Lì c’è tutto.
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