Isonzo

Nella sua corsa verso il mare, l’Isonzo, dopo essere nato dal monte che prende il nome dal dio a tre teste padre dei fulmini (il Triglav), scava impetuoso un cammino nelle vallate alpine fedele alla propria missione di mettere in contatto il mondo slavo con quello latino. Nelle sue acque si specchia il dolore di coloro che hanno atteso sino alla morte notizie dei propri cari scomparsi improvvisamente nei giorni dell’odio e della vendetta ed i cui corpi riposano in foibe sconosciute che violentano la terra penetrandola nel profondo.Poi, improvvisamente, il fiume si allarga e rallenta la propria corsa quasi per la sorpresa di trovarsi dinanzi la piana di Salcano e Gorizia: un omaggio, forse, alla Vergine che dall’alto del Monte Santo per secoli ha visto i pellegrini arrampicarsi faticosamente ai suoi piedi recitando litanie e preghiere con lingue dalle parole apparentemente sconosciute gli uni per gli altri ma comprensibili per chi sa udire la voce della fede.Lambendo le pietraie del Carso, i flutti raccolgono ora la voce delle migliaia di giovani che, giunti in questo lembo d’Europa, da posti lontani, furono accomunati dallo stesso tragico destino di sofferenza e morte in quella che un papa inascoltato bollò come”un’inutile strage”.Il fiume, ormai, già vede il mare ma c’è ancora tempo per ascoltare il gemito di quanti hanno dovuto nei propri polmoni imparare a pronunciare un nome impronunciabile (absesto) ed il silenzio dei capannoni dove una crisi economica troppo presto divenuta globale ha zittito il rumore delle macchine.Eppure, nonostante tutto questo, nel verde delle sue acque continua a specchiarsi, speranzosa, una terra che ha sempre, ostinatamente, cercato di fare del “cum-finis” il proprio valore aggiunto.Non è stato e non è facile, soprattutto perché l’idiozia delle ideologie non ha mai cessato di cercare di innalzare muri nelle strade e, soprattutto, nel cuore degli uomini. E così chi era “di là”, chi parlava un’altra lingua ed aveva una cultura o magariprofessava fede diversa, doveva diventare, improvvisamente, un diverso e come tale, automaticamente, un nemico da combattere ed annientare.Si deve alla capacità profetica di un pugno di uomini, che non hanno rinnegato lo spirito di questa nostra terra, se si è potuto cominciare a percorrere vie di riconciliazione, scardinando certezze di divisione che sembravano destinate a durare inperpetuo, soprattutto dopo l’ultimo conflitto mondiale ed i drammi che ne sono seguiti.Molti di loro hanno partecipato alla nascita del nostro settimanale cinquant’anni or sono. Era la stagione in cui Gorizia cercava di uscire faticosamente dall’isolamento impostole dai reticolati. Lo faceva usando la cultura come un grimaldello per scardinare porte che qualcuno avrebbe preteso chiuse per sempre. Nel loro impegno ebbero a fianco l’appoggio di una Chiesa che a propria volta, animata dal soffio del Concilio, cercava nuove strade per una presenza più concreta nella società.Da allora in tanti hanno raccolto il testimone di responsabilità ed impegno, rendendo possibile al nostro settimanale una presenza che dura da mezzo secolo. Un periodo di tempo che per un giornale non è tanto sinonimo di semplice longevità anagrafica quanto di fedeltà ai propri lettori.Ricordare tutti i collaboratori singolarmente sarebbe doveroso ma è praticamente impossibile: a loro va però il ringraziamento mio e dei direttori che mi hanno preceduto e dell’intera Chiesa diocesana. La loro fatica settimanale ha permesso e permette di dare voce veramente a tutte le realtà del territorio, raccontando storie e vicende altrimenti prigioniere dell’oblio del tempo.Un grazie, poi, a tutti voi lettori. Soprattutto in tempi di crisi economica come l’attuale l’acquisto del nostro giornale non è mai un gesto scontato. La vostra vicinanza a permetterci di andare avanti, guardando al futuro con speranza nonostantele nubi che i drastici tagli ai contributi statali per l’editoria addensano all’orizzonte.Sono mutati i tempi, sono mutate le situazioni ma la traccia per l’impegno quotidiano di Voce Isontina rimane quella indicata proprio dai Padri del Vaticano II: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.Buon compleanno, Voce!