L’esperienza di “Vita diocesana”; la nascita di “Voce Isontina”

Scherzando li chiamava “i nostri incontri del lunedì”. Quando assunsi l’incarico di condirettore di Voce Isontina, don Maffeo prese l’abitudine di salire con una certa frequenza nel pomeriggio del primo giorno della settimana i due piani di scale per bussare alla porta della redazione.”Mi siedo qui e non disturbo”… Ma il silenzio durava ben poco e subito la sua voce riempiva la stanza (e sono sicuro anche tutto il piano… visto che chi è un po’ sordo pensa sempre che lo siano tutti). E così cominciò a raccontarmi gli anni della stampa cattolica in diocesi di cui lui era stato uno dei protagonisti.Nacque allora l’idea di mettere tutto ciò per iscritto. Fu Selina Trevisan, in sei incontri, a raccoglierne nella primavera del 2008 i ricordi. Sarebbero serviti – disse don Maffeo scherzando ma non troppo – quando avrebbe compiuto 100 anni, in quel 2014 che sarebbe coinciso con i 50 anni di Voce Isontina.Con il sopraggiungere dell’estate decidemmo di sospendere le interviste per avere il tempo di sbobinare e mettere ordine in quanto raccolto, verificando i punti da approfondire e le integrazioni necessarie.L’accordo di riprendere il dialogo nelle prime settimane di settembre era destinato però a rimanere insoddisfatto a causa della morte che lo colse il 2 ottobre 2008.

Fedeli a quell’impegno, oggi possiamo proporre quell’intervista.

Come nacque l’idea di dare vita a Voce diocesana?Nel dicembre 1957, l’arcivescovo Ambrosi si rese conto dell’importanza che anche la diocesi di Gorizia potesse dotarsi di un proprio settimanale. Scelse allora di affidarne la “creazione” a me che dal 1952 ero segretario all’Ufficio amministrativo dellaCuria.Contattai immediatamente i Figli di San Paolo per ricevere un aiuto nella realizzazione del progetto. Grazie a loro potei dapprima iscrivermi all’Albo dei direttori e poi mi coadiuvarono nella stampa dei primi fogli del periodico. La volontà manifestata damolti sacerdoti era quella di staccarsi da “Vita Nuova”, considerato politicamente troppo schierato, dando vita ad un settimanale più prettamente cattolico. Prese così forma “Voce diocesana”, primo vero settimanale totalmente curato dalla Chiesa Isontina.All’inizio lo diffondemmo insieme a “Famiglia Cristiana” inviandolo a tutti gli abbonati di quest’ultima al costo complessivo di 55 lire. Il successo fu immediato ed in poco tempo quella Voce raggiunse la tiratura di 10 mila copie, stampate presso la Tipografia Sociale: la scelta della tipografia dipese dal fatto che si trattava della più grande della città ma anche dalla cura con cui in precedenza aveva realizzato pubblicazioni di carattere religioso.

Da chi era composta la redazione?All’inizio realizzavo il settimanale praticamente da solo ed in tal senso il mio impegno aumentava di settimana in settimana. Mancando una redazione organizzata, raccoglievo le notizie,scrivevo gli articoli, preparavo il menabò… Un aiuto mi venne,finalmente dal primo gruppo di collaboratori fra cui Michele Martina,Arnolfo De Vittor, Mafaldo Cechet, don Luigi Tavano ma anche pre’ Falzari, Augusto Miceu… Cominciò ad aumentare lo spazio dedicato alla cronaca ed io iniziai a spostarmi in auto per raggiungere Cervignano, Villa Vicentina, Aquileia,Villesse acquisendo informazioni sulle vicende cittadine e parrocchiali. Riuscì anche a convincere alcuni parroci ad inviare, settimanalmente,un articolo alla redazione per descrivere quanto vissuto durante la settimana nel loro territorio.

Un inizio difficile ma coinvolgente, mi pare…Va detto che non mancarono alcuni momenti di tensione. Un po’alla volta cominciarono a farsi sentire i tentativi di ingerenza da parte di alcuni rappresentanti dei partiti politici. Ricordo ancora quando un onorevole si rivolse direttamente a mons. Ambrosi pretendendo venisse completamente rifatta un’edizione già pronta per la stampa in quanto si sentiva preso di mira dalle critiche contenute in un articolo. Venne bloccato l’invio in tipografia e ci si preparava a rifare tutto: una situazione per me inaccettabile. Andai allora dall’arcivescovo e gli feci notare che la notizia era stata tratta direttamente da un lancio dell’Agenzia giornalistica della stampa cattolica italiana. Mons.Ambrosi, a quel punto, non poté fare altro che autorizzare la stampa dell’edizione originaria. Ricordo che quando uscì dal suo studio scrissi, di getto ed anche per sfogare la tensione, un biglietto ad uno dei collaboratori. Anni dopo quella persona me lo ha fatto rileggere: “Non possiamo chiudere la bocca per presentarci solo con l’Ave Maria. I nostri articoli devono rispecchiare la verità, la reale vita della Chiesa”.

Voce Diocesana proseguì le sue uscite per sei anni…Certamente.Proseguì sino alla fine del 1963, in attesa di lasciare il posto a quella che sarebbe poi diventata “Voce Isontina” nel 1964. Cercammo sempre di dare un taglio giornalistico che fosse ben accolto e compreso dai lettori.Ci impegnammo a cogliere la diversità di origine, di cultura e di lingua della popolazione della diocesi. Sui giornali locali “laici” emergevano spesso polemiche nazionalistiche e quindi si decise di rispondere ad alcuni di quegli articoli con la convinzione della necessità di creare qualcosa che unisse andando oltre gli screzi. “Voce diocesana” poneva le basi per la ricerca del buono e del certo, senza urtare la sensibilità di nessuno consci delle sbavature e dei contrasti che proprio in quegli anni emergevano in tutti gli ambienti. Non dimentichiamo che sono gli anni della Guerra Fredda ma anche quelli in cui si progetta e si comincia a vivere il Concilio Vaticano II. Con tutto quello che ciò significava anche per la Chiesa.Questo lavoro,mi piace ricordarlo, venne compiuto nonostante la ristrettezza dei mezzi che il giornale aveva a distinzione. A mancare, prima di tutto, era una vera e propria redazione ma anche la stampa settimanale non mancava di incertezze. Gradualmente si riuscì a creare piccole redazioni locali, dando vita ad una rete di collaboratori che inviavano i loro pezzi. Nel corso degli ultimi anni aumentarono però le voci dei sacerdoti e dei laici che chiedevano una maggiore autonomia del settimanale (ancora allegato a “Famiglia Cristiana”) ma anche un ampliamento dello spazio a disposizione per notizie, riflessioni ed approfondimenti.

E poi giunse mons. Pangrazio…Nel 1962 la Santa Sede accettò le dimissioni presentate da mons.Ambrosi per motivi di età. Al suo posto venne trasferito da Livorno mons. Andrea Pangrazio.Passarono solo pochi mesi ed un giorno l’arcivescovo mi convocò. Era giunto il momento, mi disse, di rinnovare la stampa diocesana visto che quello che veniva pubblicato era “poco più che un giornaletto”. Alcune settimane più tardi venni richiamato in episcopio. Mons. Pangrazio si era confrontato coll’arcivescovo di Udine, mons. Zaffonato, ed insieme avevano trovato una soluzione alla questione. Don Redento Bello, presidente della tipografia delle “Arti Grafiche” di Udine dove si stampava “La Vita Cattolica”, era infatti disposto a favorire la stampa del nostro nuovo settimanale nella loro sede. Il vescovo mi confermò nell’incarico di direttore della nuova testata, invitandomi a prendere contatto con le “Arti Grafiche” per concretizzare questo nuovo percorso, ma anche a pensare ad un nome per il nuovo settimanale.

E come si giunse al nome di Voce Isontina?Il termine “Voce” venne spontaneo un po’ per “continuità storica” ed anche perché così ci si collegava idealmente a tanti altri giornali diocesani che lo recavano nel titolo (si pensi, nel solo Triveneto, a “Voce dei Berici”, “La Voce del Popolo”…).”Isontina” voleva indicare il riferimento al fiume Isonzo.Non solo geograficamente ma anche come identità che accomuna da secoli popolazioni di lingue e cultura diverse e che per lungo tempo erano state parti del territorio diocesano.

Quali furono gli inizi?Il giornale si stampava il giovedì mattina (subito dopo “La Vita Cattolica”) nella sede di via Treppo,dietro l’arcivescovado di Udine. In tipografia la prima pagina del settimanale di Udine veniva modificata inserendo l’intestazione di “Voce Isontina”. A noi veniva concessa una colonna e mezza in prima per l’eventuale cambio dell’editoriale. Allora la stampa era ancora metallica con la rotativa a caratteri mobili in un processo molto lungo e delicato a causa della fusione dei caratteri effettuata manualmente.All’interno era a completa disposizione di Gorizia una pagina mentre le rimanenti erano quelle dell’edizione udinese. A poco a poco,però,lo spazio a nostra disposizione aumentò tanto da rendere ben presto Voce Isontina un settimanale indipendente.

Cosa ricorda di quel primo numero?Nel primo numero l’unica notizia che inserimmo fu il mio editoriale con cui illustravo ai lettori quello che Voce Isontina voleva essere.Il mercoledì pomeriggio, alla una,partimmo io e Pasquale DeSimone alla volta di Udine per portare in tipografia il menabò e prendere contatto con gli addetti alla stampa di “Voce”,i linotipisti. Al giovedì mattina passammo all’impaginazione manuale e quindi alla stampa. Il primo numero di Voce Isontina era chiuso.