Il “Credo” di Rebula
31 Ottobre 2018
Era nato nel territorio della diocesi di Gorizia – nella carsica San Pelagio – ±empolaj, il 21 luglio 1924, Alojz Rebula, uno dei massimi esponenti del mondo culturale in lingua slovena dell’ultimo secolo. Rimandando alla scheda pubblicata in questa stessa pagina per le sue essenziali noti biografiche, vogliamo ricordarlo con il l’intervento che tenne nella basilica di Aquileia il 25 aprile dell’anno 1987: quel giorno oltre millecinquecento giovani provenienti dalla Slovenia, dal Friuli-Venezia Giulia, dal Veneto e da altre regioni italiane, s’incontravano nella basilica di Aquileia in pellegrinaggio di fede, calcando il pavimento paleocristiano di Teodoro, di Cromazio, di Ambrogio, di Rufino e rinnovando insieme le secolari “acclamationes aquileienses”.L’incontro, promosso dai movimenti ecclesiali “Comunione e Liberazione” e “Pot” (La strada), costituì vivace e solenne momento di celebrazione delle comuni radici nella fede, riconoscimento di un comune carisma all’interno della vita della Chiesa, impegno a vivere la responsabilità di una “nuova evangelizzazione” affidata a tutti da Giovanni Paolo II.In tale occasione, lo scrittore Alojz Rebula proclamò ai giovani presenti la propria fede, con il suo “Credo”: una alta e suggestiva sintesi poetica della visione culturale cristiana del cosmo e della storia, che si confronta criticamente con il drammatico cammino della cultura europea.
Da Nicea, ricca di cipressi, là sul Ponto Eusino, il concilio, il primo, ha levato la sua voce in greco antico e in seguito quella stessa professione di fede echeggiò, perfezionata, dall’imperiale Costantinopoli, per slanciarsi poi, tradotta in latino, come una nube di colombi sopra i crinali dei secoli, fino allo spartiacque di Cirillo e Metodio e per ancorarsi, infine, tra le nostre radure e le nostre vigne, tra i nostri noccioli e i nostri abeti, nicena-costantinopolitana- italiana- slovena.Unicamente a questa voce, verticalità gotica e bagliore barocco, ho teso l’orecchio, scrivendo queste righe, ad occhi socchiusi ne ho sillabato il dettato, parola per parola, con l’orecchio a terra fra Nicea e Lubiana, quasi esitante colla lingua, tra millennio e millennio, tra il greco antico e lo sloveno 1987, senz’ombra di originalità, salvo che ci sia qualcosa di originale nel fatto che il Credo ti s’impiglia tra rami e nuvole.
* * *Considerate, fratelli, in che cosa mai potrei credere ! Potrei credere, ad esempio, in Urano e Crono e Zeus, in un cieco primordiale Protoplasma, in un big bang, figlio della Tenebra, esploso dal grembo di una pazza casualità.Vedete: è in una tale teogonia del Nulla che potrei credere e riconoscermi come figlio di questo Nulla e, stridendo i denti, pregare con un protagonista di Hemingway: Padre nulla, che sei nulla, venga a noi il tuo nulla.Invece, grazie ad un insondabile dono, mi è dato di poter, insieme con voi, credere non nel Caos né nel Caso né nella Materia, madre di Erinni, ma nel Padre, in un Tu, infinitamente tenero, là sul fondo di tutti gli anni-luce e di tutti i presentimenti,in quella familiarità cosmica che può essere data soltanto da un Padre, in quella soavità fra essere ed essere che può venir irradiata soltanto da un Padre, cosicché posso dire con voi, nella notte della fede, dandogli un filiale tu: Padre nostro, che sei nei cieli, venga a noi il tuo regno.
* * *Vedete, magari potrei anche credere in una infinita Tenerezza, ma svaporata in una sua eterna impotenza.Invece, mi è dato di credere con voi in una infinita Attività che ha creato il cielo e la terra, non soltanto la gloria dei boschi e delle nubi e delle acque e delle stelle, tutto ciò che i nostri sensi si bevono tra giorno e notte attraverso l’epopea delle stagioni, ma altresì ciò che, sullo sterminato arco tra gli atomi e le supernove, fanno emergere dagli abissi dell’invisibile i nostri microscopi e telescopi.Anzi, insieme con voi credo in quella divina fantasia, che ha chiamato allo splendore di una inimmaginabile esistenza un altro universo, al di fuori della ricezione di tutti i nostri strumenti, continenti quali occhio non vide e musiche quali orecchio non udì ed estasi che cuore umano non provò, il tutto popolato non da lemuri, ma da lampi della luce primigenia, da angeli ed arcangeli, da troni e potestà.
* * *Potrei credere in un Figlio, che non sarebbe Dio da Dio, ma tenebra da tenebra, mito da mito, nulla da nulla.Invece, mi è dato di credere con voi nella Luce da Luce, nell’Amore da Amore, nella Gloria da Gloria, non in una metafora o in un simbolo, ma in un nome e in un destino dell’universo, in Gesù Cristo, nostro Signore, nato, non creato, dalla stessa sostanza del Padre, per cui tutte le cose furono create.
* * *Vedete: potrei anche credere in Dio, ma in quello di Epicuro, indifferente in un suo isolamento, sordo al fruscio dei nostri venti e all’eco delle nostre grida, sordo alle cascate di sangue e di lacrime di cui rintrona la terra, sordo alla nostra sfida lanciata contro le stelle: Perché ci avete messo al mondo?Invece, mi è dato di credere con voi qualcosa di fantastico : che quell’eterno Principio si è vestito della nostra carne e si è fatto uomo, e ciò non per una voglia da turismo cosmico e di evasione stellare o di sport planetario,ma perché nelle sue vene continuavano a fluire tutti i quattro fiumi dell’Eden perduto e perché non sopportò che la morte avesse a dominare sull’uomo e sul suo verde-azzurro pianeta.Per questo si è fatto uomo, non teoria, non programma, ma uomo, Semita, nato ad opera dello Spirito Santo da una vergine ebrea di nome Maria, uomo vero, pienezza di virilità, tutto ciò che uomo è, circolazione del sangue e respiro dei polmoni, luminoso muover di passi tra campi di grano ed uliveti, entusiasmarsi per gli uccelli del cielo e i gigli dei campi, abbandonarsi ad unzione di donna, sentire stanchezza e mortale tristezza, un uomo come noi, a cui le mani si muovono familiarmente tra le costellazioni delle nostre ore, tra remi e ceste, tra fichi e pesci, tra pane e vino.Se non avessi altri dati su di lui, potrei supporre nei suoi guardi che è stato, ad esempio, proclamato re della provincia di Giudea e in seguito imperatore romano al posto del senile e delirante Tiberio.Invece mi è dato di credere che non aveva una pietra su cui posare il capo, che era mite ed umile di cuore, che sanava gli ammalati e saziava gli affamati e che, trentenne, sotto Ponzio Pilato, una delle nullità poliche del suo tempo, venne sospeso sulla croce fra due ladroni e sepolto.
* * *Vedete: potrei credere che, in seguito, morto, si sia incamminato sulla strada di tutto ciò che è organico sulla terra.Ma che cosa mai mi è dato di credere, fratelli! Qualcosa di più grande del fatto che abbiamo scoperto la penicillina e che abbiamo posto piede sulla Luna.Ecco ciò che mi è dato di credere insieme con voi: che il terzo giorno, in forza di una immane esplosione, questa nostra terra sobbalzò, con tutti i suoi monti ed oceani, ebbra di giovinezza,che il primogenito di un nuovo creato risuscitò dai morti, nella gloria di una nuova biologia, e salì in cielo.E potrei credere che trent’anni, passati quaggiù, gli siano bastati per averne abbastanza della nostra veridicità e della nostra ingiustizia,e che abbia sbattuto dietro di sé la porta dell’infinito dicendo: “Dimentichiamoci di averli creati a nostra immagine”.
* * *Invece, insieme con voi mi è dato di credere che non è andato perdersi in eterno nella gloria del Padre come una cometa che ritrae la sua coda negli spazi, al contrario, dato mi è di credere che l’infinito lo restituirà e che ritornerà come giudice a giudicare i vivi e i morti, ognuno non tanto riguardo a ciò che è stato e ciò che ha fatto, ma piuttosto riguardo a ciò che ha voluto essere e ha voluto fare.
* * *Oh, e in che cosa mai potrei credere, fratelli, al posto dello Spirito Santo, che col Padre e col Figlio viene adorato e glorificato!Potrei credere, ad esempio, nel hegelianismo e nella psicanalisi, nell’informatica e nella cibernetica, con Sartre e Beckett potrei palpare tutte le glaciali giunture sul cadavere del Nulla.Invece, insieme con voi mi è dato di credere nello Spirito Santo che dà la vita, che non procede da Hegel e Freud, ma dal Padre e dal Figlio, nello Spirito, che è consolazione degli afflitti e refrigerio degli affaticati, luce dei cuori e padre dei poveri, nello Spirito che ha parlato per mezzo dei profeti, non solo Isaia Geremia Ezechiele Daniele, ma anche per mezzo di tutti gli altri in unicità di spiriti e diversità di stili, per mezzo di Omero, padre della ragione, e Sofocle, araldo dell’eterno nomos, e Platone, architetto dell’invisibile, e Virgilio e Marco Aurelio e Dante e Dostojevski e Pascal e Newman e Maritain e Sol¬enicin.E non soltanto per mezzo di questi, ma anche di altri, in una sempre nuova inesauribilità di lingue e stili, anche per mezzo dei profeti sloveni, di Prešeren, che ha brindato alla fratellanza di tutti i popoli, come da un roveto ardente ha parlato attraverso lo “hrepe-nenje” di Cankar e le estasi di Kosovel.
* * *E vedete, fratelli, potrei credere in cento diverse Chiese o in nessuna, e, invece, mi è dato di credere, insieme con voi, in una, non politicante, ma santa, non nazionalista, ma universale Chiesa cattolica ed apostolica, in una Chiesa che non è che la visibile punta di diamante di una piramide poggiata su basa sconfinate di spazio e di tempo, nell’invisibile ed ecumenica Chiesa di tutti i figli di Dio, nell’ortodossia e nel protestantesimo, nell’islam e nel buddismo, di tutti i non coscienti figli di Dio nell’ateismo, di tutti, a cui erompe inarticolato, dal petto il grido: Vieni, Signore Gesù!
* * *E in fine potrei dire di credere nel progresso e nel paradiso in terra e nella cosmonautica, ed invece mi è dato di credere insieme con voi, fratelli, in qualcosa di inconcepibile, nella risurrezione, non nella risurrezione dalla crisi energetica o dall’inflazione dalla saturazione ecologica, ma in qualcosa di più ambito e di più temerario, nella risurrezione dei morti, non solo risurrezione della coscienza, ma nella risurrezione delle nostre consunte mani e piedi, dei nostri evaporati cuori, nella risurrezione di tutta questa nostra carne dagli infarti e dai cancri, dalle gastriti ed epatiti, dalle nevrosi e dagli incubi, nella risurrezione di tutto ciò che fa dire al cuore: “Momento, fermati!” e che gli fa volere l’eternità, la profonda eternità.In tutto questo mi è dato di credere con voi, in grazia di un insondabile dono, e, in fine, in una vita che non passa. Amen.
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Un’intera vita a servizio della cultura
Alojz Rebula nacque il 21 luglio 1924 a San Pelagio in Provincia di Trieste da genitori sloveni. Nel 1949 si laureò in Filologia classica presso l’Università di Lubiana in Slovenia. Fu professore di latino e greco antico nelle scuole superiori con lingua di insegnamento slovena di Trieste. Visse e lavorò dividendosi tra Opicina e Loka pri Zidanem Mostu nella Stiria slovena insieme alla moglie Zora Tavcar, anch’essa scrittrice e traduttrice slovena, dalla quale ebbe tre figlie (la maggiore è la scrittrice e poetessa Alenka Rebula, la minore la scrittrice e pittrice Marjanka Rebula). Rebula è ritenuto uno dei più importanti intellettuali cattolici sloveni del dopoguerra. Oltre alla sua opera letteraria riscuotono un ampio eco i suoi interventi nella pubblicistica, in particolar modo gli articoli d’opinione nel settimanale cattolico di Lubiana, Družina. Rebula fu amico del celebre poeta sloveno Edvard Kocbek. Nel 1975, pubblicò a Trieste, assieme allo scrittore Boris Pahor, il libro-intervista Edvard Kocbek-testimone del nostro tempo (Edvard Kocbek – pricevalec našega casa), nella quale Kocbek condannò il massacro dei prigionieri di guerra anticomunisti dopo la seconda guerra mondiale. Il libro provocò una durissima reazione del regime comunista jugoslavo. Scrisse numerosi romanzi, racconti e opere teatrali, tradotti in varie lingue. Sono stati inoltre pubblicati i suoi diari.
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