Essere cattivi, almeno a Natale…
19 Dicembre 2018
Ma oggi si può ancora parlare di bontà? O le polemiche sul “buonismo”, magari attribuito alla Chiesa e a qualche “anima pia” della caritas o delle ong, impediscono di parlare di bontà? Parliamo allora di cattiveria: il Natale ne offre l’occasione visto che «per loro non c’era posto nell’alloggio» (Luca 2,7) e che poi avrebbero dovuto sfuggire da Erode (ma i bambini di Betlemme non scamparono dalla crudeltà del re sanguinario…): «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Matteo 2,13). Qualche presepe, correttamente, anche se non rappresenta la strage degli innocenti, pone però sullo sfondo il castello di Erode. Invito a metterlo nei vostri presepi, rende il Natale meno poetico, ma più vero.
La cattiveria. Trovo sul dizionario Treccani online questa definizione: «1. L’esser cattivo, malignità, indole cattiva, malizia: ci ha negato il suo aiuto proprio per cè un ragazzo pieno di cattiveria. 2. Atto cattivo, e anche bizza, capriccio, dispetto: è stata una vera c. la suaho punito la bambina perché oggi ha fatto troppe cattiverie». Interessante il collegamento tra cattiveria e “bizza, capriccio, dispetto”. Coglie, a mio parere, il senso profondo della cattiveria che è la gratuità del male. Fare male per fare male, senza o quasi altri scopi. Far star male gli altri solo per farli star male, per capriccio, per dispetto. Se una persona fa del male per rabbia, se trascende per reazione a quella che crede essere un’ingiustizia subita, se si lascia prendere dalla passione o anche se fa del male per calcolo, per guadagnarci, per aumentare il proprio potere, ecc. è una persona che sbaglia o che persino è volutamente malvagia, ma non raggiunge la vera cattiveria. La cattiveria è, per esempio, non limitarsi a uccidere il nemico, ma torturarlo per giorni e giorni, umiliarlo, farlo star male, ma non per ottenere informazioni o altro: solo per fargli del male. Gratis.
Si capisce la cattiveria come gratuità se si comprende la gratuità del suo contrario, che non è la bontà, ma l’amore. L’amore vero è gratuito, disinteressato, potremmo dire inutile, nel senso di non strumentale a niente. Voglio il tuo bene perché ti amo e ti amo perché ti amo. Non per nulla i segni dell’amore hanno dentro di sé la gratuità, il non servire ad altro che a dire l’amore. Un fiore dato all’amata, alla fidanzata, alla mamma, a una persona ammalata, ecc. dice solo “ti amo”. Non lo si mangia in insalata, non lo si rivende, non lo si conserva. Un altro simbolo molto forte è il profumo, che si disperde nell’aria ed esprime così la gratuità dell’amore. Gesù lo sa bene e difende la donna che ha sparso del profumo prezioso sui suoi piedi. Giuda protesta: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (Giovanni 12,6). Ma a prescindere dalla vera motivazione di Giuda (l’evangelista precisa: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro»: 12, 7), occorre dire che l’amore non può essere strumentalizzato neppure a favore dei poveri.
Oggi siamo cattivi, nel senso della cattiveria pura, gratuita? Lo siamo più del passato? E’ difficile rispondere in modo preciso. Ci sono alcuni segnali che vanno in quella direzione. Ma prima di essi ci sono degli atteggiamenti che sono l’anticamera della cattiveria: l’egoismo, l’individualismo, la chiusura, il non rispetto delle persone. Un atteggiamento particolarmente pericoloso, che mette sulla china scivolosa che porta alla cattiveria gratuita, è quello di relazionarsi agli altri non considerandoli persone (con pregi e difetti come tutti), ma per categorie, giudicate “a prescindere” come negative. Una volta erano gli ebrei: abbiamo da poco ricordato le leggi razziali promulgate 80 anni fa qui vicino a noi, a Trieste. Oggi sono i migranti, i rifugiati, gli stranieri, i carcerati, i rom, ecc.
Dicevo di alcuni segnali di cattiveria gratuita. Ne ricordo due. Il primo sono le reazioni contro qualcuno a livello di comunicazione, di opinione pubblica in particolare sui social, strumenti purtroppo favorevoli a diffondere (avvantaggiati anche da un certo anonimato) volgarità, odio, disprezzo, … appunto cattiveria. L’altro segnale è meno evidente, ma altrettanto pericoloso. Si tratta di provvedimenti legislativi e amministrativi che cominciano a essere assunti in questi tempi, dove l’impressione è che la vera motivazione – a parte quella di pensare di prendere così più voti alla prossime elezioni (e in questo senso non sono totalmente “gratuiti”) – pare essere non quella di regolamentare fenomeni (in modi che possono essere discutibili e criticabili, ma questo qui non interessa) o di risparmiare risorse, quanto piuttosto di creare disagio alle persone. Un esempio: può essere giusto stabilire un tetto alla presenza nelle classi di bambini stranieri (o meglio di bambini di famiglie di origine straniera, ma spesso nati in Italia) per favorire un’integrazione, ma se con quel criterio le sezioni esistenti non assorbono tutti i bambini e non si attivano contemporaneamente altre sezioni di scuola, è evidente che l’intento della norma, al di là dell’affermato, è creare disagio ai bambini e alle loro famiglie. Altro esempio: rendere difficile comunque (e non perché ci sono pochi soldi) l’accesso a misure di contrasto alla povertà a famiglie straniere, che per altro sono qui in Italia legittimamente e lavorano regolarmente pagando le tasse. Un terzo esempio riguarda i carcerati e la crescente difficoltà per loro di accedere, in presenza di specifici requisiti che garantiscano comunque la sicurezza e la giusta punizione, a percorsi di riabilitazione.
La cattiveria oltre a essere gratuita è cieca, non sa vedere al di là dell’immediato, non vede neppure qual è l’interesse di chi la pone, finisce per ritorcersi contro il soggetto che la sceglie. Per stare agli esempi citati: si è proprio sicuri che aumentando la percentuale di odio e di volgarità tra le persone non se ne possa prima o poi diventare vittime? E si è convinti che creare disagio a bambini che, lo si voglia o no, saranno i cittadini italiani di domani (e ciò che si prova da bambini non lo si dimentica più…) sia il miglior modo per preparare una società più serena e più integrata in futuro? E si è certi che non favorire cammini di riparazione, di reintegrazione nella società, di riscoperta di una propria dignità da parte dei carcerati porti a una società più sicura e con meno reati?
Come contrastare la cattiveria? Facendo il percorso contrario a quello descritto. Anzitutto favorendo atteggiamenti che siano l’anticamera dell’amore: trattare le persone da persone, vivere il rispetto reciproco, ascoltarsi, essere attenti a chi è più debole, ecc. E poi cercando di porre gesti di amore per gli altri, di gratuità, motivati solo dal farli star bene. Per fortuna qui gli esempi da portare sono tantissimi: persone impegnate nel volontariato, persone che vanno a visitare sistematicamente i malati e gli anziani, persone che aiutano i poveri nelle varie mense, persone che garantiscono ogni giorno ore di doposcuola, i ristoratori di Gorizia che in queste domeniche hanno offerto dei pranzi di ottima qualità ai detenuti della casa circondariale, ecc. Sono importanti questi segni e tanti altri, spesso sconosciuti ma non meno veri. Segni che possono attivare un “contagio” nell’amore. Perché la cattiveria è contagiosa, si diffonde facilmente (e per questo occorre contrastarla fin dall’inizio), ma anche l’amore ha una forza umile ma vera di esemplarità.
C’è allora qualche speranza che anche nel prossimo Natale tutti si possa lasciare il castello di Erode per recarci alla grotta di Betlemme, dove contemplare quel Bambino che ci è stato donato. Quel Bambino che è venuto a rivelarci che tutti – proprio tutti – siamo chiamati a essere figli di Dio, siamo stati creati a immagine e somiglianza del Dio Amore, tutti siamo degni di rispetto, tutti siamo responsabili della nostra vita e di quella degli altri. Quel Bambino che diverrà alla fine il nostro giudice e ci chiederà se lo avremo aiutato presente nel povero, nel malato, nel carcerato, nello straniero, nell’affamato,… Un giudizio che sarà per tutti, ma i cristiani sanno – a differenza di altri – che nel bisognoso c’è Gesù. E hanno perciò più responsabilità. Ma anche più gioia, perché più di altri hanno la consapevolezza di essere amati dal Dio che si è fatto uno di noi.
Buon Natale.
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