“O Vienna velika che tanto t’amai”

Perché un libro di 576 pagine? Ha 6170 nomi di soldati austriaci di lingua slovena, italiana, friulana, di parlate come la gradese e la bisiaca. Nomi: l’Autore, il generale Gianni Marizza, in “O Vienna velika che tanto t’amai I nostri nonni sloveni, friulani e bisiachi in uniforme asburgica nella grande guerra”, tratta di persone, nate in certi paesi e città, arruolate in certi reparti, che hanno combattuto o sono morti in certi luoghi. Che sia materia palpitante, viva, “sanguinante”, viene – per assurdo – dal voluto oblio di cui è stata coperta.La “celebrazione”, poi virata a “ricordo”, “commemorazione”… ha risvegliato iniziative fra gli eredi di quelli che non parteciparono della “vittoria”, nelle nostre terre, “redente”.  Sono riecheggiate le parole di un volontario italiano, Giuseppe Ungaretti, nel 1966 tornato sul Carso: “Il nome di Gorizia, dopo cinquant’anni… torna a significare per me ciò che per noi, soldati in un Carso di terrore, significava allora. Non era il nome di una vittoria – non esistono vittorie sulla terra se non per illusione sacrilega; ma il nome di una comune sofferenza, la nostra, e quella di chi ci stava di fronte e che dicevano il nemico, ma che noi pur facendo senza viltà il nostro cieco dovere chiamavamo nel nostro cuore fratello”. Passati i tempi ove non si poteva parlare di uomini come gli on. Faidutti e Bugatto (operarono per l’elevazione del popolo nella Contea di Gorizia e Gradisca). Superati i momenti del 1966, quando, per il cinquantesimo anniversario della presa di Gorizia, il Sindaco Michele Martina fu convocato in questura e insultato dalle associazioni d’arma, per aver voluto far rappresentare “Gorizia 1916” di Vittorio Franceschi.O di quando si sconsigliava la pubblicazione del libro di Camillo Medeot sui preti internati dall’Italia (1969).La tendenza all’oblio sui soldati delle nostre terre è rimasta, appena scalfita dal cenno che ne ha fatto, recentemente durante la sua visita a Trieste, il Presidente della Repubblica, Mattarella. Non lo Stato si è mosso; non la Regione. La Patria Nuova li ignora. Non così il libro: li accompagna, narrandone lacerti di vita; enumera i reparti nella guerra di qui: Ungheresi, Austriaci, Cechi, Istriani, Friulani, Gradesi, non in visione babelica, ma entro visuale d’esperimento di Europa, pur con note conflittualità, esasperate da spirito nazionale, tracimante in nazionalismo. I nomi parlano: all’unisono, di tragedia, nata con la guerra; singolarmente, nell’avventura umana di ciascuno, nell’aneddotica di cui si impreziosisce il libro, senza perdere misura; ancora insieme, in canti, filastrocche, detti, diari, riportati in giusta quantità, e  che attenuano i drammi con diffusa,semplice, umanità.Il libro è dedicato al più giovane soldato austriaco: Francesco Giuseppe Boschi; al ritorno dalla guerra, rinchiuso in un porcile, per essere fuggito dal campo di concentramento, in cui lo avevano confinato i “fratelli liberatori”.L’Autore ha il dono della sintesi, e  riesce a tratteggiare la persona in maniera impressionistica, leggendone i tratti esterni, e l’interiorità.Se uno vuol prova ulteriore, legga, tra i suoi libri, quelli sui ritratti di Gradiscani, o di insegnanti, sempre di mano felice ed intensa pietas, che non è pedestre pietà, ma comprensione empatica della persona.C’è poi, ficcante fino alla provocazione, una serie di luoghi comuni contro le nostre terre, la gente i governanti, che il generale di C. d’ A. Gianni Marizza demolisce a colpi d’ariete, non senza tesserli di sottile ironia.Appena si apriva bocca su tali argomenti, fin poco fa (e… ancora), piombava l’accusa di anti-italiano o l’ insultante e sciocca di “austriacante”, per quelli che Austriaci furono per Stato anche se non per lingua ed etnia.Sull’italianità del gen. Marizza sarebbero bizzarri dei dubbi: è stato in mezzo mondo con operazioni di pace in nome dell’Italia; ha insegnato in università e accademie militari; ha fatto studi d’elite…Può permettersi di raccontare i “crimini” dei “liberatori”, primo, la deportazione di migliaia di persone (60 sugli 80 sacerdoti della archidiocesi di Gorizia), con modi spesso tremendi. Può permettersi di sfatare le 15 bugie, che mette in evidenza, e ancora  macchiano, qua e là, la nostra storia. Una per tutte riguarda i monumenti nel parco di Gradisca.Si tratta di una perla da citare anche per l’impressione estetica.Chi va fra gli alberi nel parco, che si appoggia al fossato delle severe e maestose mura, nota uno di quei monumenti enfatici che spesso accompagnano i caduti. Degno di rispetto. Avvicinandosi, nota 5 nomi e scritte, che lo connotano testimonianza della grande guerra.Ben separata dalla precedente, una risparmiosa figura solida in marmo: ad attenta osservazione, con un nugolo di nomi (una novantina), di quelli che caddero in uniforme “sbagliata”, e sembrano stringersi per non dar nell’occhio.Già senza commenti è rabbrividente; leggendo il libro del generale Marizza, si trae l’impressione dell’assurdo: nessuno di quei cinque nomi risulta caduto di Gradisca. Si era giunti alla fabbrica degli eroi…Numerose storie si intrecciano nel libro, come quella, patetica, della “contessa Lucy Christallnig il 10 agosto 1914 aveva quarantadue anni e viaggiava da Klagenfurt a Gorizia per portare materiale della Croce Rossa. Guidava personalmente l’automobile…era una spericolata campionessa di rally. Venne uccisa ad un posto di blocco a Serpenizza perché non si era fermata all’alt…prima vittima della Grande guerra…su ciò che sarebbe diventato il fronte dell’Isonzo quasi un anno più tardi”.Particolare attenzione l’Autore dedica al 97° Reggimento il famoso “Demoghèla”; a Gorizia, vittima della guerra, e alla ricchezza linguistica ed etnica delle nostre terre, più volte usate per la propaganda nazionale e fin dentro i nostri giorni, straziate.

Gianni Marizza, O Vienna velika che tanto t’amai I nostri nonni sloveni, friulani e bisiachi in uniforme asburgica nella grande guerra, Chiandetti Editore, Reana del Rojale 2019, pp. 576, euro 20.