23 novembre 1943 – 2019: un’occasione di riflessione

Pochissimi erano gli ebrei rimasti a Gorizia: già negli anni Trenta infatti l’ultimo presidente, Attilio Morpurgo, aveva chiesto all’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane il permesso di fondersi con Trieste. Roma però aveva rifiutato, vista la grande incertezza di quel momento storico. Ho contato 155 ebrei residenti a Gorizia al momento dell’emanazione delle leggi razziali (settembre 1938), in quella notte del 1943 ne erano rimasti 29, in buona parte anziani.Il nuovo ordine hitleriano, basato sulla razza, metteva all’ultimo gradino gli ebrei (che dovevano “in qualche modo” sparire), al penultimo gli slavi, cui era garantita la sopravvivenza solo come servitori delle razze superiori.Certo, la deposizione di una corona d’alloro è un simbolo di doveroso ricordo per un avvenimento di eccezionale disumanità, mai avvenuto in precedenza e che ha colpito concittadini. Gli ebrei non hanno avuto storia facile, ma solitamente il rispetto della legge garantiva loro una vita sicura. Il Nazismo per primo invece ha agito a livello amorale. Il rispetto di tutte le angherie burocratiche, cui ovunque gli ebrei hanno inizialmente obbedito, vista appunto la tradizione, non ha certamente apportato benefici, anzi ha spianato la strada alla disumanità più totale dei campi di sterminio.Oggi, 76 anni dopo, non può diventare ovvio il fatto che la polizia sorvegli ormai da tanti anni tutte le istituzioni ebraiche e che minacce più o meno pesanti vengano dirette verso ebrei in qualche modo di spicco (e non solo attraverso Internet, ormai palcoscenico di un mondo senza dirittura morale). C’è da chiedersi come mai ciò avvenga con tale virulenza anche in Italia, dove la minoranza ebraica, presente fin da Roma antica, si aggira attorno alle 40.000 persone e dove l’antisemitismo è diventato ovvio al momento delle leggi razziali mussoliniane.Ma il ricordo non può diventare rito che esime dalla responsabilità del tempo presente.