“Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento”
Inizia un nuovo anno liturgico. Proprio l’avvio dovrebbe dare il “la” al tempo e alla storia che scorreranno in noi e con noi. Avvento significa tensione, sguardo in avanti, attesa. I verbi che scandiscono il messaggio evangelico propostoci quando ci collochiamo su questo pronao che si dilata fino al momento in cui nella storia entrerà […]
30 Novembre 2023
Inizia un nuovo anno liturgico. Proprio l’avvio dovrebbe dare il “la” al tempo e alla storia che scorreranno in noi e con noi.
Avvento significa tensione, sguardo in avanti, attesa. I verbi che scandiscono il messaggio evangelico propostoci quando ci collochiamo su questo pronao che si dilata fino al momento in cui nella storia entrerà il Messia, il Salvatore, non possono non suscitare perplessità ed interrogativi.
Perché affermare – Vegliate – e continuare a ribadirlo servendosi di altri verbi, con differenti ma analoghe sfumature?
Fate attenzione, svegliatevi, guardatevi intorno e tentate di uscire dalla tana che vi custodisce dal freddo dell’inverno e che, pur accogliente, isola dagli altri ed induce al torpore.
La solidarietà viene bandita e non si riesce a percepire quanto sta avvenendo, perché rinchiusi solo su se stessi.
La vigilanza appare come la conclusione delle parole di Gesù ma, simultaneamente, ne è anche la chiave di lettura.
Dal traguardo desiderato, cioè dalla fine della propria vita vissuta nel Signore Gesù, bisogna passare al vaglio, valutare e, soprattutto optare. Ogni scelta deve portare il sigillo di chi cammina nelle vie di Dio. Solo così, timore e paura non avranno più accesso al quotidiano vivere.
In gioco non è soltanto la postura orante di ciascuno, nella consapevolezza di chi attende che si manifesti nella storia il grande evento salvifico, in gioco è ogni dimensione dell’esperienza umana, personale e comunitaria.
Ecco, allora, palesarsi qualche dimensione del vigilare che oggi deve far fronte all’emergenza che il nostro tempo fa esplodere: prendersi cura della propria famiglia e dei propri cari significa incarnare la vigilanza. Chi ha dovuto abbandonare la propria terra, la propria lingua e i propri familiari non ha diritto, in nome della fraternità umana, al nostro vigilare gratuito e al soccorso attento?
Avvertire lo scempio dei valori che hanno retto le nostre famiglie e tentare di porvi rimedio, significa vigilare. La fedeltà coniugale, l’impegno quotidiano nella crescita dei figli, lo sguardo amorevole fra coniugi, crea vigilanza e impedisce di precipitare in quel torpore che annulla e confonde tutto nell’impeto superficiale di un fare senza radici.
Se si vigila, ci si scopre, via via, sempre più acuti, sempre più capaci di entrare nel profondo dei desideri altrui non espressi, delle fragilità che confondono incutendo vergogna nell’essere manifestate. Chi vigila le fiuta e sa entrare nel vivo, porgendo la propria spalla come aiuto;
intuire come si muoveranno persone ed eventi, smuove il torpore e rende trasparente la vigilanza. Addestrarsi e prepararsi ad affrontare disagi e difficoltà, è un grande dono per tutta l’umanità.
Vigilanza sorretta dall’ascolto della Parola, dallo sguardo intelligente di chi guarda e sa rispondere ad un evento che sempre sconcerta: il Figlio che si fa carne in un neonato e scompagina gli assetti umani chiedendo di annunciare la salvezza per tutti.
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