Femminicidio

Dall’11 al 16 giugno si è svolta l’edizione 2024 del Festival del Giornalismo, manifestazione che ogni anno si arricchisce di partecipazioni illustri sempre sotto l’attenta organizzazione dell’Associazione Leali delle Notizie di Ronchi dei Legionari. Fra i tanti temi di assoluta attualità trattati: la guerra, lo sviluppo e le donne (violenze di genere e stereotipi). Proprio […]

20 Giugno 2024

Dall’11 al 16 giugno si è svolta l’edizione 2024 del Festival del Giornalismo, manifestazione che ogni anno si arricchisce di partecipazioni illustri sempre sotto l’attenta organizzazione dell’Associazione Leali delle Notizie di Ronchi dei Legionari.
Fra i tanti temi di assoluta attualità trattati: la guerra, lo sviluppo e le donne (violenze di genere e stereotipi).
Proprio a proposito di queste ultime, non sorprende che il termine eletto dalla Treccani come “parola del 2023” sia “femminicidio” ovvero l’omicidio di una persona perché donna.
Per la prima volta, infatti, un’espressione diventata largamente comune indica non solo il genere della vittima ma anche la ragione di quella violenza.
Di questo la professoressa Flaminia Saccà, Ordinario di sociologia della Sapienza di Roma, Graziella di Mambro, giornalista giudiziaria, e Serena Bersani, Presidente dell’associazione Giulia (GIornaliste Unite LIbere e Autonome) hanno dibattuto sabato scorso illustrando le storture comunicative, soventemente usate dai media, che ancora ne fanno da padrone quando si parla di donne uccise.
Le vittime e i carnefici vengono infatti uniti da un sodalizio di corresponsabilità: le prime hanno senz’altro provocato la violenza che i secondi esercitano.
Una spirale che caratterizza i femminicidi rispetto a qualsivoglia altro atto di violenza ove non solo (chiaramente) non vi è alcuna commistione tra l’offeso e il suo aguzzino ma nessuno si permetterebbe mai di insinuarne differentemente.
Premesso che questa stortura narrativa (e di sotteso intendimento sociale) deriva da una pacifica rendita di posizione di un mondo ancora prevalentemente maschilista (che solo negli ultimi decenni si è visto costretto a misurarsi con una sponda femminile), un reale cambiamento (e su questo tutti si sono allineati) è possibile solo con tanta formazione delle nuove generazioni e con rieducazione dei tanti vari professionisti.
Come stanno gli stereotipi con il fenomeno della violenza di genere? E quanto gli stereotipi sono coltivati, tramandati e rafforzati anche dal mondo femminile contro sé stesso in una cieca corsa inconsapevolmente masochistica?
Nessuno pare potersi dire escluso da questa rieducazione d’animo e di parola e che questa sia un’assoluta priorità lo aveva ben indicato il Ministero dell’Istruzione Giuseppe Valditara quando, ancora nell’ottobre dello scorso anno, aveva sancito la necessità di istituire un corso di educazione di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Psicologi, Associazioni e Consigliere di parità: tutti impegnati per ricollocare termini e coscienze lì dove la famiglia, evidentemente, primo luogo di formazione e di esempio, da sola non è fin qui riuscita a reciderne immagini e stereotipi vessatori a peso dei sogni e dei diritti delle giovani future donne.