Se si smarrisce il fine comune…

Si è appena conclusa la Settimana Sociale a Trieste quest’anno dedicata al tema “Al cuore della Democrazia” inaugurata dal Presidente Mattarella il 3 luglio scorso e terminata con le parole del Santo Padre “Possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito anche dalle diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è […]

17 Luglio 2024

Si è appena conclusa la Settimana Sociale a Trieste quest’anno dedicata al tema “Al cuore della Democrazia” inaugurata dal Presidente Mattarella il 3 luglio scorso e terminata con le parole del Santo Padre “Possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito anche dalle diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani”.
Ancora una volta il Santo Padre torna a raccogliere i fedeli indicando il giusto camminino e ancora una volta parla di loro, gli esclusi da una società vocata alla tecnica e alla performance e che lascia indietro chi non riesce a stare al passo.
Ma quando si è consolidata questa rotta?
Dal dopoguerra italiano è stata tutta una corsa con l’unica parola d’ordine “ricostruire”, un mantra dove generazioni si sono vocate al lavoro come unica forma di nobilitazione d’animo e sociale.
Storicamente, infatti, l’importanza attribuita al lavoro ha avuto un ruolo indispensabile nel progresso economico e sociale della società globale. Soprattutto ha permesso l’emancipazione di miliardi di persone, prima bloccate in mondi chiusi e senza la minima possibilità di ascesa sociale. Chi nasceva nobile, sarebbe morto nobile. Chi nasceva contadino, sarebbe morto contadino. L’enfasi sul lavoro, nonostante tutto, ha spesso fatto sì che moltissime persone potessero cambiare – in diversi casi in meglio – la propria vita, e questo è un fatto positivo.
Dall’altra parte però questa cultura del lavoro, col tempo arrivata agli estremi, ha portato con sé numerose storture che forse soltanto oggi diventano diffusamente parte della coscienza collettiva.
Le persone non sono solo il lavoro che fanno, sono anche bisogni, passioni, inciampi e riscatti. La carriera non è l’unico vettore identitario così come non riesce a decifrare tutti quei soggetti che, meno performanti lavorativamente se non addirittura impossibilitati, comunque esistono pretendendo pari dignità senza sentirsi esclusi dallo sguardo politico.
La tecnica di per sé, infatti, ha dimostrato di essere capace di funzionare, di sviluppare, di portare progresso ma in questo anche il suo limite: senza etica, si è di fatto distratta da chi non poteva parteciparne (i poveri, i nascituri, i fragili, i bambini, le donne e i giovani appunto).
Parlare degli esclusi non è retorica, è comprendere l’essenza e la vastità di una Comunità che è la base della democrazia intesa come partecipazione del popolo nell’interesse dello sviluppo del popolo stesso.
“La Democrazia oggi non gode di ottima salute” così ammonisce con indulgenza il Santo Padre “Vi è un asfissiante individualismo che offusca l’uomo come parte necessaria di un progetto collettivo”. E, se si smarrisce il fine comune, anche la democrazia perde la sua originaria brillantezza rispetto a quei precedenti regimi che proprio sull’esclusione e sulla selezione si sono orgogliosamente retti per anni. Così “Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di mettersi a servizio alle persone”.

(Foto Vatican Media/SIR)