V^ domenica di Pasqua
Il Vangelo di domenica 3 maggio
30 Aprile 2015
È ancora Giovanni ad accompagnarci in questo Tempo pasquale nel mistero di Dio. La Liturgia di questa quinta domenica di Pasqua, ci rimanda all’Ultima Cena di Gesù ed in particolare alle “raccomandazioni” finali fatte dal Maestro ai suoi, che dovranno reggere alla prova della croce e che saranno chiamati a continuare la sua misione.I versetti del capitolo 15 di Giovanni risuonano, oggi, come una “poesia di comunione” ed è facile intravedere nel rapporto di Gesù Cristo con i suoi discepoli, un modello di riferimento per ogni Comunità cristiana.Questa “poesia di Comunione” ruota intorno all’immagine della Vite. Allora come oggi, la bellezza di un grappolo d’uva affascina per la sua meravigliosa composizione. E’ un simbolo ideale per esprimere l’individualità e, contemporaneamente, la Comunità. L’espressione che compare il maggior numero di volte nel brano odierno è “rimanere”: è l’invito che Gesù rivolge ai suoi.Rimanere per riconoscere in Gesù la vera vita e nel suo Padre il vignaiolo; rimanere per riconoscere che legati a lui di dà frutto; rimanere per riconoscere che è Gesù stesso che desidera questo legame con l’uomo.L’immagine della vite, inoltre, ci dice che la Fede in Gesù, per quanto personale, non è individualistica. Non esiste un’esperienza di Fede che possa considerarsi così eccezionale da far a meno di inserirsi in una vita di Comunità “ordinaria”.Quante volte, invece, le persone si ritrovano con una Fede “fai-da-te” e spizzicano qua e là, dove trovano più “calore” o emozione”, dove “si sentono” o “rinascono” e finiscono, anche in totale buona fede, per evitare le relazioni con la Comunità cristiana dove vivono.La vera Fede, in definitiva, ha la straordinaria capacità di unire e di farci sentire appartenenti in prima persona ad una Comunità molto più vasta e variegata, con la sua storia e i suoi luoghi. L’altra espressione sulla quale poter riflettere è la potatura… Potare è diverso da tagliare.Il tagliare è sempre una violenza che genera morte, il potare invece è pur un’azione difficile; molto simile alla prima, ma porta all’effetto contrario, cioè alla vita e a maggiori frutti.La “potatura” delle tante esigenze e soprattutto di ciò che è superficiale, è un fatto necessario per salvare la qualità e la quantità dei frutti. Concludo con una bella citazione di don Giovanni Berti: “La mia vita spirituale è una pianta di cui devo prendermi cura anch’io insieme con Dio.Non posso lasciare che cresca selvaggia e da sola.Lo spirito che ho dentro, e che è il vero luogo del mio incontro con Dio, rischia davvero di seccarsi e di esser gettato via se non è curato attraverso la preghiera, la meditazione della Parola, la vita comunitaria della Chiesa, la vita concreta di carità sullo stile di Gesù. Questi sono gli strumenti per la giusta cura e la corretta potatura della mia vita spirituale.Se imparo a coltivare questa mia vita spirituale divento davvero fruttuoso, e chiunque mi avvicina si accorge che in me i frutti dell’amicizia, della pazienza, del perdono, dell’altruismo sono davvero abbondanti.E questi frutti di vita segnalano che il mio legame con la pianta principale che è Gesù non è interrotto ma è vivo”.
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